Perché vuoi tornare in Himalaya?
Torno in Himalaya, una catena montuosa molto estesa, che tocca più regioni, dove in passato sono stato nel versante nepalese. Avevo fatto la traversata nell'Alto Mustang e poi sono arrivato al campo base dell'Everest, lato nepalese, ma era comunque l'anno successivo alla prima ondata del Covid, dove in Asia c'erano restrizioni. In quel periodo era abbastanza difficile uscire da un singolo paese, quindi mi ero tra virgolette limitato nel fare solamente tutto il Nepal e l'Himalaya dal quel versante. Adesso che, per fortuna, anche il Tibet ha riaperto, l’idea molto affascinante è quella di tagliare tutta la linea lungo quella che è considerata una route chiamata la TransHimalayana. Questa via parte dal Bhutan, attraversa poi un pezzettino d'India, entra in Nepal e poi finisce con tutta la lunga attraversata via terra da Kathmandu. Ovviamente per me una cosa affascinante perché al di là del fatto che si vanno a scalare tantissime montagne, passi a oltre 4000 metri. C'è dentro tanto di quello che mi piace di più del ciclismo, cioè il dislivello, e il contatto umano che in quelle zone lì a volte fa molto la differenza. Sia dal punto di vista dell'esperienza sia nella maniera proprio più pratica nel trovare persone e situazioni accoglienti in zone sperdute.
È molti anni che ti dedichi al monto dell’ultracycling: cosa ti spinge a rimanere sempre in questo ambiente, qual è la chiave che trovi tutte le volte che parti per un viaggio?
Quando mi sono approcciato all'ultracycling l'ho fatto inizialmente proprio come primo stimolo delle competizioni non-stop. Mi sono avvicinato a questo mondo dandomi come obiettivo il libero sfogo a una mia inclinazione molto più ampia che è quella di prendere la mia bicicletta e partire, quindi senza avere particolari limiti o obiettivi in termini di tempo e di distanza. Se guardo il mondo è talmente sconfinato che sicuramente ne ho visto una buona parte però se poi traspongo l'immagine del globo in negativo, e guardo la parte che mi manca, c’è ancora tantissimo. Trovo così la motivazione, lo stimolo proprio nel fatto che probabilmente non basterà una vita intera per fare tutto quello che mi passa per la testa.
Vedi dei cambiamenti nel mondo dell'ultracycling e come mai a tuo parere tanta gente si sta avvicinando e ha desiderio di avventura e di fare attività di questo tipo.
Penso ci siano diversi fattori. Magari il mondo italiano è un po' diverso da quello straniero però alla fine ci sono dei punti di contatto. Legato proprio al mondo dell'ultracycling la cosa che io ho notato è che negli ultimi 30-35 anni c'è stata questa tendenza sempre più accentuata verso lunghe distanze. Quindi pensiamo per esempio all'Ironman o al trail running. Quindi c'è questa tendenza dell'essere umano moderno a voler mettersi alla prova su percorsi molto lunghi. Il limite dell'ultracycling rispetto per esempio al trail running è proprio un limite logistico. Una gara di ciclismo lunga, estrema, è molto più difficile da organizzare di una corsa in montagna perché tu per un trail running ti infili le scarpe e parti. Mentre l'ultra cycling, soprattutto come era pensato all'inizio con l'assistenza, devi avere il tuo team e la la macchina al seguito. Logisticamente io ho organizzato manifestazioni di questo tipo e c’era una ridotta schiera di atleti che avevano possibilità economiche, fisiche, e di persone. Quindi è una cosa impegnativa.
Secondo me quello che ha aperto un pochino questo mondo è stato a un certo punto il cambio di paradigma nel mondo del ciclismo. Io faccio sempre il paragone con quando ho cominciato. Quando io ho iniziato non esistevano neanche le borse da bikepacking perché quando ho iniziato con l'ultra cycling, ho fatto le prime avventure al freddo, nel 2012-2013 non si sapeva neanche cosa fosse una borsa da bikepacking. Ora sono cambiati i mezzi, c'è la disponibilità dell'equipaggiamento. Sono nati eventi con un ridotto il chilometraggio, format diversi... L’essere umano ha voglia di mettersi alla prova e la bici gliene dà la possibilità.