OMAR DI FELICE

L'intervista

Omar Di Felice personaggio che vive a 360° il ciclismo e tutto il mondo che vi ruota intorno entra a far parte della famiglia Giant.

Omar, uomo fuori dal comune, viaggiatore, ultracyclist che unisce l'aspetto del viaggio a quello della perfomance, ci porterà a scoprire con un occhio diverso angoli di mondo lontani ma non solo. Fin dal cinquantesimo anniversario di Giant, i capisaldi dell'azienda sono la tutela dell'ambiente e l'attenzione verso di giovani. La nostra campagna "A Trail to Zero" con i prodotti Enviro ne sono l'azione sul campo. (Clicca qui per scoprire di più). Omar ci accompagnerà a capire come il mondo cambia, nostro malgrado, e insieme a lui, con incontri nelle scuole, comprenderemo cosa si aspettano le generazioni future.

In partenza per la Winter Transhilamaya, 3000 chilometri e 50.000 metri di dislivello dal Bhutan al Tibet, passando attraverso Nepal e India, lungo la catena himalayana. L’avventura sarà anche il primo appuntamento del nuovo progetto “Bike to Happiness - Road to 1.5°C” (che si affianca ed estende “Bike to 1.5°C” con cui negli ultimi anni ha raccontato i temi della crisi climatica dai luoghi più sensibili del Pianeta) con cui Omar si prefigge l’obiettivo di continuare a raccontare non solo in che modo la bicicletta possa aiutarci ad affrontare le sfide che la crisi climatica ci pone di fronte, ma anche quanto questa sia un vero e proprio veicolo verso la felicità, soprattutto in quelle zone del mondo in cui spostarsi è ancora attività complessa e critica.

Perché vuoi tornare in Himalaya?

Torno in Himalaya, una catena montuosa molto estesa, che tocca più regioni, dove in passato sono stato nel versante nepalese. Avevo fatto la traversata nell'Alto Mustang e poi sono arrivato al campo base dell'Everest, lato nepalese, ma era comunque l'anno successivo alla prima ondata del Covid, dove in Asia c'erano restrizioni. In quel periodo era abbastanza difficile uscire da un singolo paese, quindi mi ero tra virgolette limitato nel fare solamente tutto il Nepal e l'Himalaya dal quel versante. Adesso che, per fortuna, anche il Tibet ha riaperto, l’idea molto affascinante è quella di tagliare tutta la linea lungo quella che è considerata una route chiamata la TransHimalayana. Questa via parte dal Bhutan, attraversa poi un pezzettino d'India, entra in Nepal e poi finisce con tutta la lunga attraversata via terra da Kathmandu. Ovviamente per me una cosa affascinante perché al di là del fatto che si vanno a scalare tantissime montagne, passi a oltre 4000 metri. C'è dentro tanto di quello che mi piace di più del ciclismo, cioè il dislivello, e il contatto umano che in quelle zone lì a volte fa molto la differenza. Sia dal punto di vista dell'esperienza sia nella maniera proprio più pratica nel trovare persone e situazioni accoglienti in zone sperdute.

È molti anni che ti dedichi al monto dell’ultracycling: cosa ti spinge a rimanere sempre in questo ambiente, qual è la chiave che trovi tutte le volte che parti per un viaggio?

Quando mi sono approcciato all'ultracycling l'ho fatto inizialmente proprio come primo stimolo delle competizioni non-stop. Mi sono avvicinato a questo mondo dandomi come obiettivo il libero sfogo a una mia inclinazione molto più ampia che è quella di prendere la mia bicicletta e partire, quindi senza avere particolari limiti o obiettivi in termini di tempo e di distanza. Se guardo il mondo è talmente sconfinato che sicuramente ne ho visto una buona parte però se poi traspongo l'immagine del globo in negativo, e guardo la parte che mi manca, c’è ancora tantissimo. Trovo così la motivazione, lo stimolo proprio nel fatto che probabilmente non basterà una vita intera per fare tutto quello che mi passa per la testa.

Vedi dei cambiamenti nel mondo dell'ultracycling e come mai a tuo parere tanta gente si sta avvicinando e ha desiderio di avventura e di fare attività di questo tipo.

Penso ci siano diversi fattori. Magari il mondo italiano è un po' diverso da quello straniero però alla fine ci sono dei punti di contatto. Legato proprio al mondo dell'ultracycling la cosa che io ho notato è  che negli ultimi 30-35 anni c'è stata questa tendenza sempre più accentuata verso lunghe distanze. Quindi pensiamo per esempio all'Ironman o al trail running. Quindi c'è questa tendenza dell'essere umano moderno a voler mettersi alla prova su percorsi molto lunghi. Il limite dell'ultracycling rispetto per esempio al trail running è proprio un limite logistico. Una gara di ciclismo lunga, estrema, è molto più difficile da organizzare di una corsa in montagna perché tu per un trail running ti infili le scarpe e parti. Mentre l'ultra cycling, soprattutto come era pensato all'inizio con l'assistenza, devi avere il tuo team e la la macchina al seguito. Logisticamente io ho organizzato manifestazioni di questo tipo e c’era una ridotta schiera di atleti che avevano possibilità economiche, fisiche, e di persone. Quindi è una cosa impegnativa.

Secondo me quello che ha aperto un pochino questo mondo è stato a un certo punto il cambio di paradigma nel mondo del ciclismo. Io faccio sempre il paragone con quando ho cominciato. Quando io ho iniziato non esistevano neanche le borse da bikepacking perché quando ho iniziato con l'ultra cycling, ho fatto le prime avventure al freddo, nel 2012-2013 non si sapeva neanche cosa fosse una borsa da bikepacking. Ora sono cambiati i mezzi, c'è la disponibilità dell'equipaggiamento. Sono nati eventi con un ridotto il chilometraggio, format diversi... L’essere umano ha voglia di mettersi alla prova e la bici gliene dà la possibilità.

Tornando a parlare di biciclette tu hai sempre pedalato con mezzi all'avanguardia, tecnologicamente

Ho la possibilità di servirmi del meglio di quello che il mercato può offrire però partendo dal presupposto che per me di base la cosa meravigliosa è avere una bicicletta con due ruote, quello che dobbiamo far capire anche alle persone è che la passione della bicicletta e la tecnica non sono un limite. Ora le bici ci danno la possibilità di fare le stesse cose di prima ma di farle meglio più in sicurezza più in comodità. Arrivando dal mondo della strada cerco rigidità e leggerezza. La bici è un’estensione del mio corpo, sto più comodo in sella che seduto su una sedia o su un divano. Si tratta di un mezzo che di dà la possibilità di fare tutto quello che mi passa per la testa.

Ti chiediamo di definire con un aggettivo le tre biciclette che utilizzerai: Propel, Revolt e Xtc

Per la prima direi veloce, per la seconda gravel direi sorprendente e Xtc moderna. Ho potuto usare la Revolt nel corso di un piccolo viaggetto che ho fatto prima di partire per l'Asia e si tratta proprio di un mezzo che mi ha sopreso per le sue prestazioni e la reattività.

I telai di Omar, disponibili anche sul mercato:

TCR ADV Pro in colorazione Rainstorm

Revolt ADV Pro in colorazione Slate

Propel ADV Pro in colorazione Polar Zone

XTC ADV SL 29 in colarazione Sunset Dune

Segui il movimento dei professionisti? A tuo parere nel mondo del ciclismo c'è una sorta di spaccatura tra l'appassionato dell'agonismo e delle corse worldtour e quello che invece va in bicicletta solamente per passione?


Purtroppo io credo che soprattutto in Italia ci sia ancora un po’ questa spaccatura, una sorta di snobbismo reciproco. A me la bicicletta piace a 360°, guardo il mondo del professionismo su strada e su mtb, mi piace andare a prendere il pane in bici fino ad arrivare alla competizione super performante.

Dopo tanti anni in cui ti sei dedicato all'ultracycling pensi che Omar ciclista  e Omar come uomo siano cambiati? Il mondo dell'ultra cycling hanno contribuito nel cambiamento se c'è stato?

Credo che la bicicletta mi abbia aiutato a fare quel percorso che probabilmente in altro modo sarebbe stato più complicato, Un mio “viaggio” interiore come essere umano: la bicicletta mi ha dato la possibilità di esprimere veramente quello che sento di essere, mi ha dato una sensibilità che se non avessi viaggiato in bici in determinati luoghi probabilmente ce l'avevo insita ma sarebbe venuta fuori un po’ più a fatica.

La bicicletta è stata, è e sarà una compagna quotidiana di vita di questo percorso che spero sia la vita. Mi ha cambiato, mi ha aiutato a crescere.

Qual è la risposta che vedi negli occhi dei ragazzi quando vai nelle scuole parli delle tue attività, cosa percepisci: curiosità, voglia di emulazione, disinteresse?

La cosa più bella che vedo quando faccio partire un video dopo i primi cinque, dieci secondi è senti quegli “Oh” di meraviglia, quei "Wow" perché vedono qualcosa che non siamo più abituati a vedere. Se noi accendiamo i media tradizionali si vede sempre meno di questa roba, nessuno ce la racconta, nessuno ce la fa vedere quindi quando i bambini, i ragazzi vedono quelle cose la prima cosa è ne rimangono a tratti affascinati e incuriositi. Credo poi che bisogna lavorare affinché quella prima reazione poi si tramuti in una passione. Le passioni vanno alimentate, incoraggiate e anche supportate da parte di noi adulti quindi ho la speranza, attraverso il progetto nelle scuole, non dico che domani le persone vadano a fare la traversata dell’Antartide però spero un pochino di ispirare un minimo le persone a vedere la vita sotto un punto di vista un p’ diverso. Vedere il mondo in sella una bicicletta è per me il modo migliore per poterlo esplorare.